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Uber commissariata in Italia per caporalato: l’azienda non ci sta

di Roberto Naccarella

Lo sfruttamento dei riders è costato molto caro a Uber Italia. La Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha imposto una misura di amministrazione giudiziaria per caporalato nei confronti della filiale italiana del Gruppo statunitense. Una decisione che arriva in seguito all’indagine condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza e di cui si sono occupati il Procuratore aggiunto Alessandra Dolci e il Pubblico Ministero Paolo Storari.

Il commissariamento di Uber Italia è stato imposto proprio in seguito allo sfruttamento dei riders che consegnano il cibo del servizio Uber Eats a domicilio, disponibile come app con tanto di pagamenti da smartphone. Il reato che ha spinto il Tribunale milanese a disporre l’amministrazione giudiziaria per caporalato fa riferimento all’articolo 603bis del codice penale, vale a dire “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Per farla breve, a detta del Tribunale la società si procurava i lavoratori scegliendo tra i migranti provenienti dalle situazioni più difficili (persone provenienti da guerre, richiedenti asilo o in stato di bisogno).

La paga, a detta dei riders, era sempre di 3 euro per ogni consegna, senza alcuna differenza in base al giorno e all’ora di consegna. Uber Italia ha voluto ribadire la propria condanna ad ogni forma di caporalato. “Inoltre partecipiamo attivamente al dibattito sulle regolamentazioni – scrive la società – che crediamo potranno dare al settore del food delivery la sicurezza legale necessaria per prosperare in Italia”. Ma i giudici di Milano sono stati determinati nell’affermare che i lavoratori scelti dalla società in collegamento con il servizio erano sfruttati e in alto stato di bisogno.

Fonte: ANSA

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